Testo Gv 4,5-42
(edizione Bibbia CEI 2008)
5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: “Dammi da bere”. 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10 Gesù le risponde: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. 11Gli dice la donna: “Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?”. 13Gesù le risponde: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. 15“Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. 16Le dice: “Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui”. 17Gli risponde la donna: “Io non ho marito”. Le dice Gesù: “Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. 19Gli replica la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta! 20 I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. 21Gesù le dice: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”. 25Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa”. 26Le dice Gesù: “Sono io, che parlo con te”.
27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: “Che cosa cerchi?”, o: “Di che cosa parli con lei?”. 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29“Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?”. 30Uscirono dalla città e andavano da lui. 31Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. 32Ma egli rispose loro: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?”. 34 Gesù disse loro: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica”. 39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.
Commento a cura del Gruppo Donne
In spirito e verità
Il rapporto con Dio e tra di noi si attua come relazione. Fare la volontà di Dio significa vivere con gli altri in spirito e verità, con una relazione vera e sempre in miglioramento. Gesù ha attraversato la Samaria anche se poteva fare un percorso diverso, perché è andato a portare il suo annuncio a popoli ostili, a persone non “in regola”, migliorando la situazione delle relazioni con loro. Con la crisi della pandemia, quando non si poteva andare in chiesa, abbiamo preso coscienza che potevamo trovare e vivere la Parola anche al di fuori delle mura di una chiesa.
L’incontro di Gesù e la Samaritana
Se da una parte Gesù rompe gli schemi e accosta per primo persone emarginate, comprese donne e bambini, dall’altra la donna ha il coraggio di porsi in relazione alla pari con un estraneo che avrebbe potuto esserle ostile, comprende che è il Messia ma non tiene egoisticamente questa bella cosa per se, la va ad annunciare agli altri. Da reietta ad evangelizzatrice, per condividere, per dare testimonianza.
Notiamo l’uso del tempo presente nei versetti che riportano il dialogo. Consideriamo anche che non è tanto importante il detto ma quanto ciò che viene espresso riesce a raggiungere la sensibilità dell’altra persona, come viene poi accolto, cioè l’incontro.
Acqua e cibo per la vita
Tra Gesù e la Samaritana si instaura un rapporto umano, una relazione che rappresenta il cibo di cui poi Gesù dice di aver già mangiato. Oggi tendiamo a dimenticare che l’acqua è fonte di vita, qualcosa di bello. L’acqua viene accostata ai problemi: il mare per i migranti è fonte di morte, la siccità rovina i raccolti, l’inquinamento la sporca.
Spunto di riflessione
Quando una donna lo fece sognare
don Angelo Casati | II domenica di Quaresima (Anno A) (8 marzo 2020)
Una donna incrocia il cammino della nostra quaresima. Benedetto l’incontro. E benedetto chi dei due – lei o Gesù? – l’ha raccontato. Così il racconto ha trovato ospitalità nel vangelo Ebbene nella narrazione mi sembra che siano alluse immagini della fede: la loro bellezza mi seduce, e, nel sedurmi, lascia un insegnamento prezioso per i mie passi. Prezioso. E su queste immagini vorrei oggi con voi indugiare. Chissà quante volte – mi dicevo leggendo – chissà quante volte la donna aveva fatto quella strada dalla città al pozzo e dal pozzo alla città. E l’acqua – diceva bene Gesù – non le toglieva la sete per sempre. E chissà quante volte su quella strada si sarà lasciata prendere da pensieri. Perché, al contrario di quello che qualcuno potrebbe pensare – anche nella chiesa purtroppo! – le donne hanno un pensiero.
Oggi è l’8 marzo. C’è – per grazia, dico – un pensiero femminile. Per fortuna meno apodittico, meno rigido, meno prepotente di quello maschile, perché curvato sulla vita. Se leggi attentamente il racconto, tra riga e riga scopri questo pensiero. Che alla fine incanta anche Gesù. La donna del pozzo e i suoi pensieri. Confesso che, leggendo, mi bussava un pensiero: chissà quante volte la donna di Samaria, donna delle domande, nell’andare avanti e indietro, in quel silenzio, si sarà interrogata sulla sua storia – poi troverà in Gesù chì la rimanderà a quella storia -. Dico la storia dei suoi amori, un’altra sete mai sedata, un camminare verso il pozzo di un amore e un ritornare in sete. Come se le sete non le si fosse placata nel cuore. Avanti e poi indietro da un amore. Le era rimasta la sete. Sete d’acqua e sete di vivere. Si era sentita usata.
Quello era un giorno come tanti altri e, mai e poi mai, avrebbe pensato che non sarebbe stato un giorno come tanti altri e che quel giorno le avrebbe riservato una sorpresa, la sorpresa delle sorprese. Perché, vedete, Dio – perdonate il verbo – si infila nel corso delle cose più ordinarie, più concrete, più umane: si infilò nel suo andare per acqua. Ecco la cosa su cui vorrei indugiare con voi: la cosa che sempre mi colpisce è l’aria che respira nel racconto. Prima ancora delle parole. Che – già ve ne siete accorti – non hanno nulla di una istruzione catechistica. Prima ancora c’è come un guardarsi, c’è come l’entrare dell’uno nell’anima dell’altra e viceversa. Si accende una sensibilità, c’è una percezione di bellezza, si sfiora l’intimità. E’ già quel chiedere l’acqua a una donna samaritana è come aprire una fessura. Guadate che i passi della fede nascono da questo sentire, non dalle nozioni, ma dalle emozioni.
E pericolo devastante sarebbe che questo sentire andasse impallidendo, che mancasse l’aria del pozzo. Voi mi perdonerete, quest’anno leggo sotto lo stimolo di una riflessione di un monaco benedettino, Giorgio Bonaccorsi che indugia su passi biblici e in particolare sul passo del vangelo di Giovanni in cui è scritto che “il Verbo – la Parola – si è fatto carne”. E dunque la rivelazione per noi cristiani avviene nella carne di Gesù, nella carne cioè nella sua umanità fragile, lasciatemi dire nella sua stanchezza al pozzo. La sua umanità il luogo in cui Gesù si svela e noi lo incontriamo.
E’ un Gesù stanco, un Gesù che ha sete, un Gesù che dice il suo bisogno – “Dammi da bere -, un Gesù che prende l’iniziativa, che seduce la donna con il suo sguardo, uno sguardo che non la inchioda al suo passato, ma apre fessure, fessure per il futuro, ascolta le domande, che a volte nascondono la domanda più vera, più profonda, e aiuta la donna a scendere nel suo pozzo per ascoltare una domanda più sincera, una domanda di felicità, quella che gorgoglia nel più profondo, la domanda di un Dio da adorare in spirito e verità.
Non è un fatto di dottrina o di un luogo o di un altro, e nemmeno di precetti, non c’è traccia nel racconto. In prima istanza, è scoprire la fede come una seduzione. E’ l’esperienza di sentire gorgogliare l’acqua dentro, ascoltando una voce. Cadono le impalcature: lei samaritana, lui giudeo; lei donna, lui un uomo; lei con l’acqua di pochi giorni o di un giorno solo, lui con l’acqua che zampilla per la vita eterna. Alla donna che il messia lo immaginava come un risolutore di questioni religiose, uno che dirime dispute religiose – qui o a Gerusalemme – Gesù risponde che la rivelazione è diventata una persona, sta davanti a lei, e non è un fantasma, le sue parole hanno una voce e la voce risveglia il pozzo: “Sono io che ti parlo”.
Il Messia è in quel timbro della voce. Voi sapete che cosa vuol dire il timbro di una voce! Il Messia è in quella voce che non condanna, fa scoprire l’acqua, e mette altri in cammino verso il pozzo. E’ proprio di quel Messia, della sua sensibilità per le storie, che la donna di Samaria va a parlare in città: “Uno che mi ha detto tutto quello che ho fatto”. Capite, senza alzare la voce, senza infierire su quello che aveva fatto: la donna aveva letto uno sguardo, ancor prima delle parole, uno sguardo così diverso dagli sguardi che si era portata addosso per una vita!
Questo è il Messia. Questo è il racconto del suo svelamento, dentro un sentire, dentro una sensibilità. Non so se mi sono fatto capire, intorno a quel pozzo era come se si fosse fatto trasparente il cielo, in pieno mezzogiorno. Era come se si fosse cambiata l’aria. Pensate – è bello pensarlo – anche per Gesù! Anche lui, preso nella sua sensibilità, anche lui toccato, anche lui come uno cui la bellezza di un incontro ha fatto perdere la fame – “Ho un altro cibo” -. Come se lui avesse fame di incontri. E quell’incontro lo fa sognare: in anticipo di quattro mesi vede campi biondeggiare per la mietitura.
Fa una tristezza – lasciatemelo dire – vedere i discepoli che sono appiattiti. Magari a fin di bene, appiattiti solo sul mangiare: “Maestro, mangia”, sorpresi per il loro Rabbi che parla con una donna. Ancora non hanno capito che il loro maestro sta negli incontri, sta nella bellezza degli incontri e che Dio si rivela in un Rabbi che ti parla, che ti tocca, che ti guarda, fa sognare. Accende lampi con la sua umanità. Questi sono i passi dela fede. Qui passa la salvezza. Nel sussulto di un incontro.
E mentre ringrazio Gesù che si è seduto stanco al mio pozzo, mi sto chiedendo, se in giorni devastati dalle paure come i nostri, non sia possibile diventare uomini e donne del pozzo, e, al di là della fatica che facciamo, cogliere l’opportunità di creare l’aria di quel pozzo, quello di Sicar e dirci vicinanze, e raccontarci storie e disseppellire acque, noi che in altre ore, per fretta o per disamore, abbiamo disertato i pozzi degli incontri.
E donarci gli uni gli altri non parole che chiudono, ma il timbro della voce, perché è il timbro della voce che crea o no la vicinanza. Di cui abbiamo, anche di questi tempi, sete.