Testo Mc 1, 12-15
(edizione Bibbia CEI 2008)
12E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto 13e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.
Commento a cura del Gruppo Donne
Il contesto sociale
Nella società di Gesù il senso dell’onore era molto importante, essere o non essere persona di onore era condiviso con la propria famiglia e il figlio per essere rappresentante della famiglia doveva esprimere i valori del padre. Marco mostra che Gesù attraversa tre fasi di un processo di trasformazione: separazione (lascia la famiglia e si fa battezzare), poi riceve il “battesimo del fuoco” nel deserto delle tentazioni (stato di liminalità, stato intermedio). Poi torna in Galilea, torna in una situazione di normalità in un luogo lontano dal centro, dalla spiritualità mista, avendo però preso consapevolezza di esser figlio di Dio. Il deserto rappresenta perciò un processo necessario per poter parlare in pubblico come figlio di Dio.
Scaraventato nel deserto, scaraventato nella vita
Alcune traduzioni invece di “sospingere” esprimono che lo Spirito “scaraventa” Gesù nel deserto. Questa espressione ci indica che a Gesù dopo il Battesimo non è riservato un trattamento particolare, un posto privilegiato e protetto. Viene scaraventato nel deserto per affrontare la realtà che anche noi dobbiamo affrontare, oltre che per prepararsi all’inizio del suo ministero.
Sembra che umanamente Gesù avrebbe magari desiderato evitare questo passaggio, ma lo Spirito lo induce ad andare. Lo stesso avviene con noi, ci accompagna nei luoghi più difficoltosi dove però incontriamo la rassicurazione di Gesù, che ci dice che non siamo sole.
Il deserto è la metafora della vita, la situazione nella quale ci troviamo immersi, con le sue contraddizioni. Il deserto è il periodo di preparazione (vita) con il quale ci prepariamo per quello che Dio ha messo al di là del deserto. Come Gesù nel deserto si prepara al suo ministero, così noi, durante la vita, ci prepariamo a quello che ci sarà al di là, una preparazione spirituale attraverso la nostra esperienza umana quotidiana.
I Regno di Dio è qui e ora, la vita di tutti giorni è il nostro deserto dove lo Spirito ci sospinge per trovare soluzioni e la verità, in una situazione dove convivono angeli e spiriti cattivi.
Fare deserto significa anche dare un senso di essenziale alla nostra vita. Ad esempio, correre per fare le molte attività che una parrocchia richiede durante il triduo pasquale, lascia meno spazio al vivere spiritualmente quel tempo.
Deserto è quando ci si ritrova in solitudine ad affrontare i problemi, e diventa un tempo positivo se attraversandolo arriviamo poi a soluzioni in linea con il Vangelo. Allora da deserto diventa pienezza e un dono. Nel silenzio del deserto possiamo sentire la voce di Gesù che ci aiuta e che ci ispira con le sue virtù.
Si evidenzia anche la solidarietà di Gesù con noi nella condivisione della nostra natura umana e della realtà nella quale viviamo, fino alla condivisione del dolore con la Croce, di un destino ingiusto dovuto alla cattiveria delle persone. Ma consideriamo anche che, invece, Gesù ha vissuto la verità e la vita delle persone. In quanto “vero” uomo lo ritroviamo allora in una situazione di solidarietà, è uno di noi e quindi è consolante.
Parola e tentazioni
E’ importante cercare il senso delle cose nella Parola come strumenti di discernimento. Anche Gesù nel deserto affronta la realtà con la Parola. Satana la strumentalizza per tentare Gesù.
Consideriamo che la tentazione non viene da Dio, perché Dio non è stato vinto dal male (Gc 1,13: ”Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male”). La tentazione viene dal Maligno (egli viene chiamato “il tentatore”: cf Mt 4,3). Il suo obiettivo non è indurre l’uomo al peccato (anche se questo è un obiettivo secondario che spesso va a segno), ma indurre le persone a rifiutare Dio in tutta la sua realtà affinché diventino il Dio di se stesse.
Cosa fare? Possiamo vivere le situazioni della vita facendo appello alla propria interiorità, alla propria coscienza, alla luce che è in noi. Non essere il Dio di noi stesse ma scoprire la profondità di noi stesse per attraversare le situazioni invece di subirle. Se da un lato non bisogna pensare di sostituirsi a Dio, pensando di bastare a se stesse, dall’altro esercitare la propria libertà di discernimento è faticoso, siamo continuamente poste di fronte a scelte responsabili.
Bisogna essere aperte a una relazione con il Signore nella nostra vita, e lui ci trova, come ha visto e trovato Zaccheo sull’albero. Allora ogni cosa prende verità e la giusta direzione. La nostra interiorità deve mettersi in relazione con Dio.
Non indurci in tentazione?
Se la tentazione non viene da Dio, ci chiediamo come sia stato possibile che si sia pregato per decenni “non indurci in tentazione .
Segue piccola ricerca fatta a valle della condivisione
Tema antichissimo, visto che già nei primi secoli circolava una versione latina diversa da quella che poi si sarebbe affermata con la Vulgata di san Girolamo: “Et ne passus nos fueris induci in tentationem”, cioè “non permetterci di essere indotti in tentazione”.
L’attuale versione ufficiale in latino recita: “et ne nos inducas in temptationem”. Ma “inducas” (da “inducere»”) in latino significa «condurre, introdurre». L’originale greco («eis-fero») viene inteso in senso permissivo: qualcosa come: lasciar entrare, lasciar cadere in. In italiano il termine “indurre” è invece usato in un contesto negativo: «muovere, spingere qualcuno al male».
C’è anche da considerare che la parola tentazione sempre nel greco ha un significato duplice di «prova» e di “tentazione”. Nella Bibbia ci sono molte situazioni in cui Dio mette alla prova con l’intento di far crescere: basti pensare al sacrificio di Isacco quando Dio “mise alla prova Abramo” (Gn 22,1). L’obiettivo di Dio non è sperare che Abramo cada e pecchi ma insegnare all’uomo, cioè ad Abramo, a donarsi a Dio.
In Francia, qualche tempo prima del cambiamento da noi, hanno sostituito “ne nous soumets pas à la tentation” – “non sottometterci alla tentazione” -, con: “ne nous laisse pas entrer en tentation”, “non lasciarci entrare in tentazione”.